Il bisturi e la penna

Uomo dal sorriso invulnerabile ed invincibile,
con il dono evidente di aver conservato “gli occhi
del bambino”, stessi occhi che, come direbbe Luciano
Ligabue in una sua nota canzone, “…non ridanno
proprio indietro mai…”. Così appare con solare
evidenza Giuseppe.

Oscar Wilde sentenziava in suo sublime aforisma
“è superficiale chi non giudica dalle apparenze”. E
sono convinto che anche il mio amatissimo Wilde
resterebbe non poco incantato e stregato al cospetto
di un uomo che profuma di alta speranza.

Del resto, il contenuto del libro che vi accingete
a leggere non tradisce il lettore che, come chi scrive,
sa ben giudicare dalle apparenze. Al contrario,
alimenta e corrobora la speranza di saperne di più
sull’essere umano, questo meraviglioso e, ad un
tempo, tremendo mistero tutto da scoprire.

Non solo: l’amico Giuseppe ci offre un metodo
di conoscenza, una modalità di esperire e di vivere
la cultura, come viene esplicitato e reso manifesto
nella sua introduzione, che a tutta prima vi ricorderà,
ne sono certo, quella meravigliosa ed irripetibile
esperienza che possiamo ricollegare ai poeti
della Beat Generation; poeti che, lungi dal rifugiarsi
in dorate certezze inconsistenti, si mettevano quotidianamente
in discussione sul più bel teatro che
abbia mai visto nella mia vita: la Strada.

La poetica di Giuseppe, è una poetica che si alimenta
di quotidianità, e che ingurgita con pantagruelico
appetito anche da una fetta importantissima
della quotidianità, ovverosia la sua professione.
E con byroniana volontà, l’Autore non si risparmia
nella sua appassionante ricerca e nello studio
dell’essere umano, senza la paura che imbriglia i
sentimenti, impedendo di guardarsi allo specchio
con onestà e verità. E dico guardarsi non a caso,
perché nel confronto e nella comparazione senza
veli con l’altro ritroviamo o quanto meno corriamo
il rischio di ritrovare noi stessi. Tuttavia, sempre
con il suo invulnerabile sorriso, il nostro autore
non si arrende e non si lascia sopraffare dalla paura,
ma continua imperturbabile il suo cammino.

Nelle sue rime c’è della bella musica, e come diceva
il grande Verlaine “de la musique avant toute
chose”; da questa bella musica, peraltro, non può
solo trarsi squisito godimento estetico, che è cosa
assai importante, ma anche un incantevole ed ammaliante
crescendo sinfonico esistenziale; un crescendo
sinfonico che vuole giungere a dimostrarci
con solare evidenza quali meravigliose ed irripetibili
potenzialità si trovano dentro ciascuno di noi,
se solo riuscissimo a mantenere un delicato e fragile
equilibrio tra le nostre passioni e la ragione.

Giuseppe ci incanta con la sua poesia, ci dona
opportunità strepitose di crescita individuale e di
ampliamento del nostro orizzonte, ci pungola a
giocare la nostra partita con la Vita, e tenta anche,
talvolta con martellante insistenza che nella fattispecie
è pienamente giustificata dalla nobiltà della
causa, di originare una forte scossa nelle nostre
esistenze.

La speranza che mi scalda il cuore, come umile
lettore, è che il messaggio che l’Autore intende veicolare
con il suo libro si dilaghi come una vampa
incendiaria, per risvegliare le nostre coscienze dal
torpore esistenziale, rianimandole e rinvigorendole
attraverso un potenziamento della sensibilità, della
sana follia e, in una parola, di quello spirito dionisiaco,
tanto caro al filosofo Nietzsche, che appare
di questi tempi manifestamente sopraffatto da uno
spirito apollineo non più temperato dal primo, che
soffoca e annienta il vero spirito dell’Uomo.

Tutto quello che viene cantato nelle pagine che
vi accingete a leggere, si pone come contraltare al
dolore e alla sofferenza, che lo stesso Giuseppe
Pellegrino combatte come un poeta guerriero ogni
giorno da molti anni, forte di quella che si appalesa
in maniera cristallina nelle sue pagine come la sua
più grande convinzione: la vita è meravigliosa, e
deve essere vissuta pienamente e dignitosamente
con coraggio.

E mi avvio alla conclusione di questo splendido
viaggio al fianco di un amico che stimo incommensurabilmente,
con il cuore incendiato dai suoi alti
ideali e valori.

Claudio Casalini

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Uso la rima con leggerezza,
con divertimento ed ironia
per render più fruibili tematiche
di filosofia e psicologia.

Mi auguro così di non esser pedante,
noioso e greve
e di alleggerir questi argomenti
con tocco delicato e lieve.

Ho scritto in poesia, prosa breve,
riflessioni ed aforismi
utilizzo ora la rima per non ceder
a retorici sofismi.

Espongo concetti, ipotesi, teorie
e personali convinzioni
fatti oggettivi, resoconti,
personali congetture, supposizioni.

Non ho pretese accademiche,
non voglio essere persuasivo
dissertare giocando è il mio stile,
è esercizio di pensiero creativo.

Queste riflessioni in tema di vita,
scienza, filosofia e religione
sono meno indigeste se presentate
come fossero una canzone.

Non hanno l’ampollosità di un trattato,
né la leggerezza delle favole
non enunciano codici dogmatici,
formule, algoritmi o tavole.

Non mi illudo con ciò
di esser geniale ed innovativo
questa è solo una mia proposta
per un sapere divulgativo.

Non rispetto alcuna metrica,
non ho un’accademica impostazione
questa è la mia personale formula
per una riflessiva narrazione.

Il tono aulico, l’altera forma
e un’aria di cattedratica sufficienza
non sempre sono sinonimi di acume,
superiorità ed eccellenza.

A volte ci si veste di boria
per apparir dotti e saccenti
e per mascherar un vuoto di pensiero
si diventa prepotenti.

Potrei così non piacere a dogmatici,
scienziati e professori
ma mi auguro di solleticar la mente
dei miei pochi lettori.

Spero infine che il mio non sia
solo un vuoto dissertare
e che non venga così scambiato
per inconcludente ciarlare.

Giuseppe Pellegrino

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