Note di antropologia filosofica

La conoscenza dell’uomo può diventare un’armoniosa integrazione di esperienza estetica, morale, scientifica e religiosa solo se non è viziata da pregiudizi ideologici.
Se l’esperienza umana non è svolta fino in fondo e non contempla anche la domanda radicale sul senso della vita, si rischia di scadere in un sospettoso scetticismo che pervade e paralizza ogni attività superiore dell’uomo, o nel relativismo etico che giustifica e permette tutto quello che si fa.
Per ciò che riguarda la conoscenza dell’uomo, l’approccio scientifico non contraddice quello filosofico, anzi lo integra: la scienza è utile alla filosofia e viceversa.
Tutte le scienze sono limitate, possono solo conoscere aspetti parziali della realtà, per cui è necessaria un’integrazione dei saperi per giungere ad una comprensione globale dell’uomo.
Bisogna pensare l’uomo nella sua interezza, conciliando l’approccio riflessivo con quello oggettivo e metodologico tipico della scienza.
Io uomo non potrò mai conoscermi interamente, perché sono nello stesso tempo soggetto e oggetto di questa conoscenza, attore e spettatore ma non regista.
Rimarrò per tutta la vita un mistero per me stesso e non smetterò mai di conoscermi e di stupirmi.
Se mi pongo nella prospettiva interna a me, riflettendo sulle mie esperienze, non rischierò di chiudermi in me stesso ma, al contrario, allestirò una base di partenza per una successiva apertura agli altri ed al mondo che mi circonda.
Dato che l’esperienza umana è ricca e variopinta, non voglio mai assumere un punto di vista assoluto, dogmatico e ancor meno estremista.
Sono parte integrante del Tutto ed aperto al Tutto, sono un essere contingente e finito.
E nell’esperienza del dolore e nella percezione dello scorrere del tempo, percepisco la mia finitezza connessa alla mia fisicità e alla mia biologia.
All’esperienza della speranza è collegato il concetto di futuro, dello scorrere evolutivo del tempo, della motivazione… in altre parole il concetto stesso di vita.
Se muore la speranza si blocca la percezione dello scorrere del tempo e la proiezione vitale verso il futuro.
Questo blocco e questa mancanza di speranza portano il depresso finanche a desiderare la propria morte, come unica soluzione pensabile alla sofferenza.
Sono un uomo, ed in quanto animale, essere finito e fragile, ho bisogno degli altri per soddisfare le mie esigenze vitali.
Sono uomo, ed in quanto tale sono anima, aperto alla totalità ed alla spiritualità.
Sono biologia e natura, sono cultura, ragione ed emozione, pensiero astratto e pratico.
E per tali convinzioni, avverto sempre più impellente in questa società e in questa umanità il bisogno di meno tecnicismo e piuttosto il ritorno ad una visione “olistica” dell’Uomo e della sua vita.

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